Marcello Trentini, istrionico chef e patron di Magorabin festeggia quest’anno i 20 anni della sua creatura stellata aperta insieme a Simona Beltrami. Ma com’è partito? Cosa è successo durante questi anni? Quali sono i progetti per il futuro? Ne abbiamo parlato con lui.
Marcello, quest’anno sono 20 anni di Mago, ti sembrava possibile 20 anni fa?
In realtà quando Simona e io abbiamo aperto non ci siamo mai posti limiti o obiettivi temporali. Quello che posso dirti, però, è che questi 20 anni sono passati in un soffio, quasi non ce ne siamo accorti. È sicuramente un gran bel traguardo per un ristorante fine dining che, per altro, non nasceva nemmeno con questo obiettivo.
Tu sei lo stesso di 20 anni fa?
Come dice l’amico Leo Rieser, sono “Marcello Trentini con 27 kg in meno ma senza aver perso un grammo della sua proverbiale energia”. Sicuramente sono molto cambiato rispetto a 20 anni fa. Sono convinto di essere maturato, ho molta meno ansia da prestazione e difficilmente mi arrabbio. In questo, tanto ha fatto il Covid. Ho riflettuto sulla mia vita, sulla mia professione e ho preso delle decisioni forse in controtendenza, ma che penso siano orientate a una qualità della vita migliore per me e per i miei collaboratori. Per esempio, adesso apriamo solo a cena, una decisione che permette a tutti noi di avere più tempo per noi stessi e per i nostri affetti. Credo che questa sia la cosa più importante, oltre ovviamente a lavorare al meglio delle proprie possibilità.
Un Mago più riflessivo, forse.
Sicuramente non è cambiata la mia energia. Continuo a essere sempre pieno di idee, pieno di voglia di esplorare nuovi mondi e con il menu dei vent’anni credo di aver dimostrato che ho ancora tanta voglia di fare.
Ecco, parliamo proprio del nuovo menu per i vent’anni del Magorabin.
Inizialmente dovevano essere i venti piatti più iconici del Magorabin. Ci siamo però presto resi conto che il ristorante non ha una storia di fine dining lunga vent’anni, perché quando lo abbiamo aperto era poco più di un’osteria in cui però, fin da subito, abbiamo iniziato a realizzare qualche piatto più sperimentale, andando nella direzione in cui sarebbe poi nata la nostra cucina. Quindi, abbiamo pensato che venti piatti fossero un po’ troppi, per tanto ne abbiamo selezionati sedici e li abbiamo reinterpretati alla nostra maniera, cambiandogli faccia. Nuove consistenze, nuove texture, nuove cotture. Molti sono diventati finger food e welcome snack, ma ne abbiamo ancora in cantiere tanti altri, quindi durante l’anno riusciremo a dare spazio a tutti.
Ci vuoi raccontare qualche aneddoto significativo di questi 20 anni?
Vent’anni sono un pezzo di vita, quindi di aneddoti ce ne sono tanti, però uno di quelli più significativi è sicuramente il giorno in cui abbiamo aperto. Era il 19 Febbraio 2003. Quel giorno l’ho chiamato “La ricetta perfetta per il disastro”. Avevamo il tutto esaurito per la sera e la mattina stessa si è rotta la lavastoviglie e l’artigiano che doveva consegnarci i piatti era in ritardo. Quindi, mio padre si è messo a lavare in fretta e furia, a mano, tutti i piatti che arrivavano dal magazzino. E non è finita qui. La guancia di maiale, che faceva parte del menu, rischiava di non completare la cottura in tempo, quindi sì, era davvero la ricetta perfetta per il disastro. Invece, come poi ho imparato nel corso degli anni, anche quando sembra che il disastro sia dietro l’angolo, in un modo o nell’altro si risolve tutto.
E invece un aneddoto legato al periodo del fine dining?
Era l’estate del 2010 e faceva davvero caldo. Io ero andato come tutte le mattine a Porta Palazzo a fare la spesa ed ero vestito in maniera assolutamente sportiva, con pantaloncini corti mimetici e ciabatte. Tornato al ristorante, pensando che non ci fosse ancora nessuno, sono entrato in sala per dare un’occhiata e mi sono trovato davanti Fauso Arrighi, il direttore della guida Michelin. A quel punto, non potevo più tornare indietro. Per fortuna, la Michelin sostiene da sempre che le stelle stanno nel piatto e non nel contorno, quindi, evidentemente, l’esperienza del Direttore fu positiva, perché pochi mesi dopo entrammo sulla guida con la segnalazione in rosso, che all’epoca voleva dire “promessa stella Michelin”. Tra l’altro, siamo stati gli unici in Italia a entrare direttamente in guida con la segnalazione in rosso, un motivo di vanto per tutti noi.
Com’è cambiata la ristorazione stellata da quando avete preso la stella?
Decisamente sì. Quando l’abbiamo presa noi, ormai dieci anni fa, era un periodo in cui stavamo ancora vivendo l’onda lunga della cucina tecnico-emozionale, dove si faceva forte uso di addensanti, sferificazioni, vapori, fumi e cambiamento di texture. Anche da parte mia c’era una ricerca estrema nell’estetica stilistica dei piatti. Oggi mi pare che si stia ritornando a una cucina più immediata, fatta più di materia prima e meno di elementi superflui. Io stesso, da fruitore della ristorazione, voglio questo. Citando il mio amico Davide Panzieri, che un giorno mi vide mangiare salame e acciughe al verde: “il Mago è uno che cucina avanguardia ma mangia retroguardia”. E in effetti è sempre stato così. Una volta tendevo a separare molto il mio lavoro dal mio quotidiano, mentre oggi le due cose stanno si sovrappongono.
Che poi è un discorso che richiama la sostenibilità di cui parlavamo prima.
Sì, sostenibilità umana. Il nostro lavoro è molto impegnativo e spesso capita che vita privata e vita professionale si sovrappongano, ma non sempre è giusto. Con la scelta di aprire solo a cena, vedo nello staff più serenità, più tranquillità e, di conseguenza, più efficienza. La performance è inevitabilmente migliore. Poi c’è la sostenibilità in cucina. Per fare un fine dining sostenibile, come dice Niko Romito, bisogna partire dalle materie prime più povere e questo è anche molto stimolante per un cuoco. Diciamoci la verità: tutti sono capaci di fare un piatto di alta cucina con caviale e aragosta. Invece con una cipolla? Per un cuoco, riuscire a fare un piatto gourmet a partire da materie prime povere è molto più soddisfacente, senza contare il divertimento! Questo non significa che si debbano usare solo certi prodotti, ma che mentre anni fa c’era un abuso di cibi di lusso, oggi l’ingrediente lussuoso non è più il protagonista, ma un complemento.
Dove vuole andare questo Magorabin dopo i vent’anni?
Vuole sicuramente continuare a esplorare il mondo del gusto come ha sempre fatto. Vuole continuare un percorso di sostenibilità virtuosa e stupire, sempre e comunque. Ma per il momento ci godiamo i nostri vent’anni, che sono un’età bellissima: cominci a essere grande, ma hai ancora voglia di esplorare, fare esperienze e soprattutto di imparare. Ci rivediamo ai trenta!