di CORRADO LARONGA
Achille, quest’anno sono 76 anni di Pastificio Bolognese. Com’è cominciata questa lunga avventura?
È nata, come tante altre storie italiane, dalle macerie della guerra. Era il 1949 quando i miei genitori iniziarono l’attività di pastai, all’epoca avevano giusto una taglierina da banco e tanta voglia di riscatto. Chissà cosa penserebbero se vedessero dove ci ha portato oggi la loro visione.
Da una piccola bottega a 1200mq di stabilimento. Lo avrebbe mai immaginato quando era ragazzo?
Appena arrivati a Torino avevamo una piccolissima bottega in via Piave, all’interno di uno di quei meravigliosi cortili tipici della nostra città. Quando la casa del custode rimase vuota la affittammo per farci un magazzino, perché nessuno faceva i tortellini all’epoca e la voce cominciò a circolare molto rapidamente. I miei genitori erano persone brillanti e intuirono subito le potenzialità di questa attività, così poco tempo dopo ci trasferimmo in via San Francesco da Paola 27, dove si può dire che avvenne una vera svolta.
Cosa successe?
Eravamo vicino a uno dei ristoranti più rinomati della città: Al Gatto Nero. Ben presto le rispettive famiglie si conobbero e la nostra pasta entrò per la prima volta nell’alta ristorazione. È stato l’inizio di un percorso che ci ha portato oggi a servire una grande fetta della ristorazione torinese e piemontese, con reciproca soddisfazione devo dire.
Come siete arrivati, poi, in via San Secondo dove tuttora risiede il laboratorio e il punto vendita?
Negli anni ’50 Al Gatto Nero si trasferì in corso Turati. Le nostre famiglie erano legate da una profonda amicizia, come dicevo, e quando con i miei genitori venimmo a vedere i lavori di ristrutturazione per il nuovo ristorante ci imbattemmo per caso in questo stabile. Avevo solo 19 anni, ma rimasi folgorato dalle potenzialità della struttura. Non so perché, ma capii subito che quella era la location giusta per fare il grande salto, e così è stato.
Era già così grande all’epoca?
Sì, ma non era tutta nostra. Piano piano, anno dopo anno e con grandi sacrifici l’abbiamo acquistata tutta e oggi credo che abbiamo raggiunto la dimensione giusta per gestire efficacemente i volumi produttivi rimanendo artigianali.
Al di là delle dimensioni, ovviamente, cosa c’è di diverso oggi rispetto alle origini?
I numeri sono certamente diversi, ma più che concentrarmi su cosa è cambiato preferisco ricordare ciò che abbiamo mantenuto intatto, cioè la nostra artigianalità. Non abbiamo mai voluto entrare in una dimensione industriale, nonostante oggi i volumi siano decisamente cresciuti rispetto a un tempo. Continuiamo a selezionare solo materie prime di assoluta qualità, a partire dalle farine che arrivano fresche di macinatura due volte alla settimana, per arrivare alla carne, alle verdure, alle uova e persino al pesce. Lavoriamo tutto noi nel nostro laboratorio, di già lavorato non compriamo nulla. È un costo sotto tanti punti di vista, ma la qualità del prodotto finale è superiore.
Non ha mai pensato che voler rimanere un’azienda artigianale vi abbia in qualche modo limitato nella vostra crescita?
No, mai. Certo, se ci fossimo trasformati in un’industria, oggi parleremmo di altri numeri, ma a quale prezzo? Quando vado a casa per il pranzo, prendo sempre un po’ di pasta fresca dal banco e non immagini quanto sono felice di mangiarla, perché so cosa sto mangiando. Farei lo stesso se vendessi un prodotto industriale? Probabilmente no. E quindi perché dovrei dare ai miei clienti qualcosa che io non mangerei? Non è la mia filosofia, e per fortuna non è neanche quella delle mie figlie.
Parliamo un po’ delle sue figlie: oggi al timone dell’azienda ci sono Cristina e Laura, cosa prova nel vederle proseguire l’attività di famiglia?
La premessa da fare è che ho delle figlie meravigliose. Cristina è bravissima sia a livello commerciale che a livello gestionale, è determinata e precisa come lo era mia mamma. Laura è un vulcano, rigorosa e al tempo stesso creativa, com’era sua madre. Entrambe sono dotate poi di grande inventiva e intraprendenza, e da papà orgoglioso dico che un po’ hanno preso da me. Siamo passati dal fare i tortellini a più di 90 tipi di pasta fresca e ogni anno c’è qualche novità. In un certo senso possiamo definirci una famiglia di creativi. Anche la mia terza figlia, Elena, che non lavora fisicamente nel Pastificio dà il suo contributo in quanto fotografa professionista. È bravissima e cura tutti gli aspetti che riguardano la nostra immagine. Sono fortunato ad avere loro, per non parlare dei miei splendidi nipoti.
Adesso ci arriviamo, ma prima mi racconti qualcuno di questi 90 tipi di pasta che fate.
Beh, una nostra caratteristica è quella di fare freschi tutti i tipi di pasta secca che esistono. Rigatoni, penne, paccheri e così via. Poi cerchiamo sempre di inventare qualcosa di nuovo e alcune di queste ricette diventano iconiche, come le Tegoline Granata, che ho inventato io tanti anni fa quando il Toro vinse lo scudetto. La cosa bella è che la pasta la facciamo tutti i giorni e la consegniamo tutti i giorni senza mai aver imposto un minimo d’ordine. E ci riusciamo nonostante la grande varietà che abbiamo. Questo per me significa essere un’azienda artigianale.
Lei, che oggi è una delle memorie storiche della ristorazione torinese, ce l’ha un ristorante preferito?
Più di uno! Mi vengono in mente il ristorante Da Marcello, ma anche Ceccarelli e La Mina, una piccola trattoria con una grande storia, visto che ci mangiava anche l’Avvocato. La ristorazione di oggi è diversa da quella dei miei tempi. Esistono ancora le famiglie di ristoratori, ma sono sempre meno. Un po’ mi manca quella Torino, ma ci sono tante belle realtà anche oggi.
Parliamo un po’ delle persone. Se il Pastificio Bolognese non fosse suo, lei ci lavorerebbe?
Spesso sentiamo imprenditori dire, forse a volte con un po’ di leggerezza, che il loro team è una famiglia. Ecco, qui lo è veramente. Per me è motivo di grande orgoglio. Quest’anno prepareremo una festa per una delle nostre collaboratrici storiche che andrà in pensione. Ha lavorato con noi tutta la vita, che di questi tempi è davvero eccezionale. A volte mi capita di ricevere curriculum di persone che a 30 anni hanno già cambiato dieci posti di lavoro, mentre qui sono addirittura ventuno le persone che hanno cominciato e concluso il loro percorso lavorativo sempre e solo con noi. Il rapporto con i nostri collaboratori è sempre stato bellissimo e anche adesso, con i giovani, la tradizione prosegue. Non è vero che non hanno voglia di lavorare, vogliono solo essere valorizzati. Chi è capace di farlo viene ripagato, di questo sono assolutamente sicuro.
Come vede il Pastificio da qui a 10 anni?
Sicuramente vedo Cristina e Laura sempre in prima linea, come sono adesso. Il marito di Cristina è una figura fondamentale e poi ho dei nipoti splendidi che sono tutta la mia gioia. Certo, mi piacerebbe che almeno uno di loro entrasse in azienda, ma faranno quello che vorranno, non ho mai imposto nulla alle mie figlie, di sicuro non lo farò con i miei nipoti.
Se dovesse fare un bilancio dei suoi anni trascorsi al Pastificio sarebbe positivo?
Al 100%. Mi sono divertito, mi sono tolto un sacco di soddisfazioni, ho conosciuto persone splendide e sono sempre rimasto fedele agli insegnamenti dei miei genitori e alla mia etica personale. Ho portato la pasta artigianale alle Maldive, in Messico e addirittura in Kenya, dove con Francorosso abbiamo inaugurato un piccolo laboratorio per insegnare ai dipendenti degli alberghi a fare la pasta fresca. Ho visto Dubai quando era ancora un villaggio di pescatori e ho avuto il privilegio di fare un lavoro che amo, trasmettendo alle mie figlie la stessa passione. Cosa posso volere di più?