di CORRADO LARONGA
Per una volta dall’altra parte del microfono, il giornalista e critico gastronomico Luca Iaccarino, co-ideatore di Buonissima insieme a Stefano Cavallito e Matteo Baronetto, ci propone un bilancio del festival di alta cucina che si è tenuto, per il quarto anno consecutivo, dal 23 al 27 ottobre a Torino.
Luca, ormai sono passate un paio di settimane da quando si è conclusa la quarta edizione di Buonissima, facciamo un bilancio?
Devo dirti che siamo molto soddisfatti. Era una sfida difficile, perché venivamo da 3 edizioni già molto riuscite, con grandi ospiti e tantissimi appuntamenti in città, quindi sembrava quasi impossibile poter fare meglio, ma era proprio questo il nostro obiettivo. Per Buonissima 2024 volevamo di più: volevamo che diventasse un vero e proprio festival, cinque giorni durante i quali tutta Torino potesse godere delle mille sfumature della cucina locale e internazionale, divertendosi e partecipando a qualcosa di nuovo. Avevamo tante idee, ma dovevamo metterle a fuoco. Diciamo che quest’anno siamo arrivati alla maturità, prendendo ciò che di buono avevamo fatto in passato e aggiungendovi un ricco palinsesto di eventi più “pop” che hanno coinvolto davvero tante persone. La città ha partecipato con entusiasmo, al punto che speriamo che questo festival diventi stabilmente uno dei grandi eventi dell’autunno torinese.
Anche quest’anno sono intervenuti tanti protagonisti dell’enogastronomia internazionale. Come siete riusciti a portarli a Torino?
Buonissima è nata da un’idea mia, di Stefano Cavallito e di Matteo Baronetto, ma fin da subito siamo stati supportati da importanti realtà cittadine, tra le quali Lavazza. Ci siamo immediatamente trovati d’accordo nel costruire il festival intorno alla figura di Bob Noto, grandissimo gourmand e fotografo torinese conosciuto e ammirato in tutto il mondo. Questa scelta ha subito dato a Buonissima un’aura diversa da quella di un semplice festival, creando una sorta di empatia con i più importanti nomi dell’enogastronomia internazionale che hanno avuto il privilegio di conoscere Bob e che hanno quindi aderito con entusiasmo alla manifestazione, arrivando a Torino di fatto da ogni parte del globo. Il privilegio di avere Ferran Adrià come giurato del premio dedicato a Bob Noto ci ha poi permesso di avere dall’inizio una credibilità non scontata.
E poi, diciamocelo, ci siete voi tre. Tu e Cavallito siete grandi firme del giornalismo gastronomico italiano e Baronetto è uno chef di fama internazionale. Vorrà pur dire qualcosa, no?
Sì, senza dubbio una delle chiavi del successo di Buonissima è il costante lavoro di rete che insieme a Cavallito e Baronetto abbiamo intessuto con la grande cucina internazionale. E poi, va detto, si è anche creato un passaparola virtuoso: gli chef che vengono a Torino si innamorano della città e di Buonissima, tanto è vero che Virgilio Martinez, numero uno al mondo secondo i 50th Best è tornato per il secondo anno di fila e la fama che il festival sta costruendo ci ha permesso di avere in questa edizione anche Janaína Torres, la più grande chef del mondo sempre per i 50th best.
Come mai Buonissima piace così tanto agli chef?
Nel mondo ci sono tanti importanti congressi di cucina e raduni di cuochi, ma non c’è niente di simile a Buonissima e questo la rende davvero un appuntamento importante. In più, con l’enorme vantaggio di essere a Torino, in Piemonte. Questi grandissimi nomi arrivano in una delle regioni più buone del mondo, che ha per capoluogo una città bellissima. Chiunque venga a Torino ne rimane estasiato, che si tratti di cuochi, di giornalisti o di ospiti. È una città perfetta, con le giuste dimensioni, tanta storia, occasioni culturali, grande cucina e prezzi tutto sommato ancora accessibili, se la confrontiamo ad altre città d’Italia.
Questi grandi ospiti internazionali conoscono già Torino e il Piemonte, oppure li stanno scoprendo con Buonissima?
Nel mondo della cucina, il Piemonte lo conoscono tutti. Se fai il cuoco è impossibile che tu non lo conosca, per i prodotti iconici come tartufo e barolo, ma anche perché la tradizione piemontese si è diffusa in tutto il mondo con le grandi migrazioni del ‘900. Ci sono piatti che si mangiano ovunque, come l’insalata russa o la bagna cauda, popolare addirittura in Giappone. La prima volta che sono andato a Lima in Peru per incontrare Virgilio Martinez ho scoperto che in tanti negozi del centro vendono i tajarin, che lì sono chiamati “taillarin” e sono arrivati insieme ai migranti piemontesi. La nostra regione, quindi, è molto conosciuta nel mondo, ma Torino lo è di meno e per noi è una grande soddisfazione poterla svelare ai nostri ospiti.
Pensi che Buonissima possa diventare anche motore di nuovo turismo a Torino?
Speriamo di sì, noi lo facciamo anche per questo. Siamo convinti che ristorazione e strutture ricettive abbiano enormi margini di crescita a Torino, quindi speriamo che nel medio/lungo termine questo afflusso di persone da ogni parte del mondo possa spingere albergatori e ristoratori a fare sempre meglio. Alcuni degli eventi di Buonissima sono nati proprio con questa finalità, come “Metti Torino a Cena”, dove un ristoratore torinese accoglie un ristoratore che viene da fuori nel suo ristorante per una cena a quattro mani. La speranza è che da questi incontri possano nascere relazioni virtuose e che i nostri chef possano poi a loro volta essere invitati in Italia e all’estero per proporre la loro cucina e anche per apprendere qualcosa di nuovo da portare poi a casa con sé. Ci piacerebbe che occasioni come questa diventassero un’ulteriore spinta per la crescita dell’offerta e della cultura enogastronomica torinese.
E le Istituzioni? Come hanno accolto l’idea di una kermesse gastronomica internazionale in città?
Molto positivamente. Città, Regione e Camera di Commercio si sono dimostrate da subito aperte e disponibili. Dal canto nostro ci siamo presentati con un ottimo progetto e le prime edizioni sono state un buon biglietto da visita. Di conseguenza, per il 2024 le Istituzioni ci hanno appoggiato con ancora più entusiasmo, perché si sono rese conto della ricaduta positiva che Buonissima poteva avere sul territorio. Noi intravediamo ulteriori possibilità di crescita per il festival, vorremmo arrivare ad avere lo stesso peso degli altri grandi eventi torinesi, anche in considerazione del fatto che ottobre è un mese perfetto per organizzare un appuntamento simile: a livello mondiale non c’è concorrenza con altre grandi kermesse e a livello locale il palinsesto è abbastanza libero e anticipa di poco gli appuntamenti più importanti dell’autunno, cioè Artissima e le ATP Finals.
Visto che hai introdotto l’argomento, puoi svelarci qualche anticipazione per la prossima edizione?
Al momento ci sono tante idee, ma nulla di stabilito. Quello che mi sento di dire è che vogliamo continuare sulla scia dei grandi eventi “pop” di Buonissima come Degustando, Bistromania, Tram Buonissimo e gli altri, perché ci hanno dato molte soddisfazioni e al pubblico sono piaciuti. L’idea è quella di rendere il festival ancora più diffuso in città, con la qualità che ci contraddistingue fin dalla prima edizione. Insomma, “cibo, arte e bellezza” a disposizione di più persone possibili.
Per concludere, ci dai qualche numero di questa edizione?
Volentieri. In tutto, Buonissima ha contato più di 100 eventi diffusi in città, richiamando più di 10.000 persone. Sono stati coinvolti circa 50 ristoranti, 25 piole e 160 chef da tutto il mondo. E poi non dimentichiamo i nostri partner, più di 40 aziende che ci supportano e che ogni anno rendono possibile tutto questo.