Immaginate un ristorante senza tavoli né sedie. Anzi, andiamo oltre: un ristorante senza sala. Vi sembra impossibile? Eppure ne esistono parecchi. Stiamo parlando del fenomeno delle Dark Kitchen, cucine senza ristorante, o se preferite ristoranti senza sala né avventori. L’esigenza a cui rispondono le Dark Kitchen è semplice: la richiesta di food delivery cresce costantemente, soprattutto nelle grandi città, e i ristoranti hanno dovuto organizzarsi e aprirsi a nuove soluzioni.
Trovarsi a dover preparare grandi numeri di piatti destinati al food delivery durante ogni servizio rallenta il lavoro in cucina dedicato agi avventori seduti in sala, così le Dark Kitchen sono diventate la soluzione. Queste nascono come cucine che possono essere condivise da più ristoranti. Ogni ristorante manda nella Dark Kitchen un suo chef e gli fa preparare lì i piatti destinati al delivery. Ristoranti collettivi, in sostanza, o meglio cucine diverse che convivono in un unico ambiente fianco a fianco. Risultato: aumento dell’efficienza, aumento del numero di piatti venduti, aumento del guadagno.
Se il fenomeno è nato così, la sua evoluzione è però andata oltre: sono nati ristoranti ex novo, che non avevano già un’identità né una sede fisica in precedenza, destinati unicamente a servire i clienti del food delivery. Ristoranti con un nome e un logo, un menu ben definito, ma che in realtà non esistono e che nessuno vedrà mai eccetto i cuochi e i fattorini.
Da qualche mese questa è realtà anche a Torino, dove in via San Massimo è sorta la prima Dark Kitchen sabauda: si chiama Heaven Kitchen e al suo interno vengono creati i piatti di Tortuga Pokè, cibi freschi e salutari, in una parola “healthy”, e quelli di Tacos & Nachos, offerta opposta: piatti in stile tex mex. Due ristoranti (in uno) nei quali nessuno andrà mai a consumare un pranzo o una cena ma che producono e servono i piatti dei loro menu a persone comodamente sedute a casa loro oppure barricate in ufficio.
A Milano il pioniere di questa evoluzione della ristorazione è stato Foorban, aperto nel 2016 e oggi in grado di servire 1000 “coperti” al giorno senza far accomodare nessuno in sala. Una realtà complessa, quella di Foorban, che si definisce ristorante digitale e controlla tutto il processo dalla produzione alla consegna.
Ristorante digitale è un’espressione strana, che fa un po’ impressione e dà indubbiamente spunti sui quali riflettere. Il concetto di Dark Kitchen esclude l’esperienza del ristorante intesa come “mangiare fuori in compagnia”, come momento sociale in cui le persone si trovano insieme per consumare il pasto in un posto gradito: il ristorante come luogo che attraverso i suoi colori, il suo stile e il suo arredamento esprime la sua personalità e quella del suo proprietario.
Il focus delle Dark Kitchen è esclusivamente sul cibo, non su ciò che ci gira attorno. Un focus che risponde alle richieste del mercato, evidentemente: nutrirsi in maniera rapida e comoda senza doversi spostare e potendo scegliere tra un’infinita varietà di pietanze. Nutrirsi dunque per soddisfare la fame e non come pretesto per vivere un momento sociale. Certo, ordinare il cibo a casa non esclude che si possa consumarlo in compagnia. Ma l’esperienza di un pasto al ristorante mette anche in contatto con altri avventori sconosciuti, può essere considerata un’uscita dalla propria comfort zone. Che forse è qualcosa che molti dovrebbero fare più spesso.
Comunque sia, diamo il benvenuto alle Dark Kitchen – che sono il futuro – ma possibilmente teniamoci stretti il passato, fatto di luoghi che hanno la propria atmosfera, nei quali i camerieri ci conoscono e le conversazioni si incrociano tra i vari tavoli: quelli che oggi si possono definire ristoranti “offline”.
Foto: gamberorosso.it