di SANDRA SALERNO
È giovane Dennis Cesco. Bellunese, classe 1993, ma ha già le idee molto chiare su come fare ristorazione e sul suo futuro.
Nel 2020 ha raccolto il testimone dal suo mentore, Damiano Nigro, che è stato l’executive chef di Villa D’Amelia per moltissimi anni.
Per Cesco Villa D’Amelia è un ritorno, quasi come un vecchio amore che torna dal passato, un magico deja vu. Le cucine del Relais sono state uno dei primi banchi di prova del giovane chef che racconta: “lavorando con Damiano Nigro, che considero il mio maestro, ho capito il valore delle parole tenacia, tecnica e dedizione. Dopo i primi due anni al Relais, ho però sentito l’esigenza di migliorarmi ancora studiando con i maestri francesi; ho avuto l’opportunità di farlo capendo l’importanza della qualità del prodotto, delle tecniche di preparazione e del giusto equilibrio tra gli ingredienti; soprattutto, ho visto come interviene la creatività dello chef nella rivisitazione delle ricette. Questi sono ancora oggi i punti a cui mira la visione della mia cucina”.
L’esperienza francese è stata fondamentale per affinare la tecnica, i classici della cucina, la preparazione di salse e fondi, che sono alla base di ogni percorso che si rispetti. Ha approfondito quella delle cotture perfette, che potremmo definire quasi maniacale.
Dopo l’esperienza con chef Alain Solivérès a Le Taillevent, 2 Stelle Michelin, Cesco approda nella cucina di Yannick Alléno al Pavillon Ledoyen, 3 Stelle Michelin.
Al Ledoyen si occupa della gestione di contorni e delle salse dei secondi di pesce, sperimenta estrazioni e fermentazioni. Prima di tornare a Benevello, sperimenta la cucina del mercato nel senso più puro del termine con chef Christoph Pelé a Le Clarence Paris, 2 stelle Michelin. Commenta Dennis: “un’esperienza molto dura, ma formativa rispetto a tecnica e creatività dello chef, perché nel ristorante di Pelé non si offriva una carta effettiva, ma si cucinavano e lavoravano i prodotti reperiti al mercato la mattina stessa”.
A Villa D’Amelia Cesco gestisce e coordina le cucine dei due ristoranti: il tradizionale, Villa D’Amelia, che propone una solida proposta territoriale, un immersione negli ingredienti piemontesi più tipici, creando un percorso confortevole per chi non vuole ‘sperimentare’ tra Vitello tonnato, Tajarin e ravioli del Plin.
Altro discorso invece al DaMà: una sala intima, 14 coperti e un unico menù di 20 portate. Non si può scegliere. Ci si affida a occhi chiusi alla creatività dello chef.
Un crescendo di sapori e consistenze, il menù degustazione ‘Sentiero’, un piccolo viaggio sulle montagne russe del gusto. Dennis Cesco ha studiato, ingrediente dopo ingrediente, una proposta gastronomica che in prima battuta può sembrare azzardata, mescolando le carte e i piatti in tavola. Il desiderio di andare controcorrente per evitare di standardizzare il menù o, peggio, il rischio di vedere menù simili ad altri ristoranti, come tanti cloni.
“Gestire le cucine di Villa D’Amelia è impegnativo ma molto stimolante: si comincia dalla colazione, poi il pranzo e la cena. Durante la bella stagione apriamo la terrazza: c’è il servizio in piscina. Questo per dire che vorrei arrivare a un lavoro e un impegno sostenibile per la brigata e le maestranze della struttura. Restare aperti 11 mesi l’anno permetterebbe di mantenere uno standard molto alto e creare posti di lavoro sul lungo termine e non solo più stagionali”.
E poi creare opportunità di collaborazione sul territorio con produttori e piccoli artigiani, costruire rapporti duraturi nel tempo fatti di fiducia e rispetto reciproci. Una filiera corta e sostenibile. Forse è la ricetta per il futuro dei ristoranti.
Un esempio? Le anguille provengono da Ceresole d’Alba (Cascina Italia), la carne di razza piemontese da Grinzane Cavour (Macelleria Mario Bollano), per ortaggi e verdure piccole aziende agricole locali.