L’Azienda Agricola Marco Capra sorge sulla collina di Seirole a Santo Stefano Belbo, tra le Langhe e il Monferrato. Proprio da questi territori, riconosciuti patrimonio dell’umanità dall’UNESCO nel 2014, nascono i suoi vini, quasi esclusivamente autoctoni piemontesi, curati dalla vigna alla bottiglia con il solo obiettivo della più assoluta qualità.
Marco, quando nasce l’Azienda Agricola Marco Capra?
In origine, era il 1945, l’azienda si chiamava Azienda Agricola Sanmarco. Fu il mio bisnonno, Tommaso Capra, ad aprirla sulla collina di Seirole a Santo Stefano Belbo. All’epoca si producevano principalmente vini sfusi che venivano venduti in damigiane. L’attenzione alle quantità, e di conseguenza alla qualità è un percorso che parte dalle origini e si sviluppa principalmente negli anni successivi. Dopo il mio bisnonno fu mio nonno Luciano a portare avanti l’azienda e poi, nel 1999, sono subentrato io. Nel 2014 abbiamo cambiato il nome in Azienda Agricola Marco Capra, una scelta che voleva mettere al centro, oltre alla famiglia, anche il mio personale modo di fare il vino.
Com’è cambiato, rispetto al tempo delle vostre origini, il mondo del vino?
È cambiato tanto. Le singole cantine vinicole sono molto cresciute e sono andate sempre di più nella direzione della qualità del prodotto. All’inizio, come dicevamo, contava la quantità, ma oggi i produttori e anche i consumatori ricercano un prodotto buono, ben lavorato e possibilmente attento all’ambiente. Per questo, noi che siamo una piccola realtà e quindi curiamo personalmente ogni passaggio della produzione del vino, siamo molto attenti ai dettagli, a partire da come lavoriamo in vigna, fino a quando imbottigliamo. Lo scopo è sempre quello di ottenere la qualità più alta da ogni singolo vigneto, e per farlo serve un’attenzione quasi maniacale a ogni singolo aspetto della produzione.
Quando hai capito che il vino sarebbe stata la tua strada?
Sono cresciuto tra le vigne e gli agricoltori, quindi è una passione che ho nel sangue da sempre. Da quando poi ho avuto l’età per bere, ho sempre trovato affascinante cercare le differenze tra i vini, scoprirne i singoli caratteri, degustare prodotti entro e oltre il nostro territorio. Trovo che il vino abbia un aspetto gioioso cui è difficile resistere. È sempre legato a momenti conviviali, belli, da vivere insieme. Quando bevi vino, ovviamente in modo responsabile, è perché ti stai divertendo e questo sicuramente mi ha dato una bella spinta verso questo mondo e me la dà tuttora.
In azienda producete soprattutto vini autoctoni piemontesi. Come mai questa scelta?
Credo che i vitigni autoctoni siano una delle carte d’identità principali di un territorio. Lo rappresentano appieno, sia a livello nazionale che a livello internazionale. Grazie ai vini autoctoni puoi entrare veramente all’interno delle comunità che li producono e vivere a 360 gradi l’esperienza delle zone in cui nascono. Per questo motivo abbiamo scelto di produrli, perché ci piace l’idea di portare in Italia e nel mondo i luoghi che amiamo, rappresentandoli attraverso il vino. Poi non produciamo solo autoctoni, ovviamente. Uno dei nostri prodotti di punta è l’Alta Langa, che viene realizzata con Chardonnay e Pinot Nero che sono vitigni internazionali, ma l’autoctono è sicuramente la maggior parte della nostra produzione.
Proprio l’Alta Langa è uno dei vini simbolo della vostra azienda. Ce la racconti?
Certo. È un Metodo Classico prodotto da uve Chardonnay e Pinot Nero. Dopo la prima fermentazione, rimane per 6 mesi sui propri lieviti per poi rifermentare in bottiglia, dove viene tenuto per un periodo minimo di 36 mesi ad una temperatura costante di 14-15°C. L’ho chiamato “Seitremenda” perché ho voluto giocosamente dedicarlo a mia figlia Elisabetta e perché in questa espressione è contenuto il numero “tre” e il numero “sei”, che sono esattamente i mesi che servono all’affinamento della nostra Alta Langa. Anche l’etichetta ha un significato speciale. Con questo vino vogliamo trasmettere un’emozione e per farlo era fondamentale che anche la sua veste fosse studiata in ogni singolo dettaglio. Così ci siamo rivolti all’illustratrice Alice Lotti, che ha tradotto la quotidianità di mia figlia, fatta principalmente di giochi come per ogni bambino, in sei diverse etichette, una più bella dell’altra, tanto che alla fine le abbiamo usate tutte.
Un altro vino che vi rappresenta particolarmente è il Nebbiolo “Testanvisca”. Anche questo ha una storia speciale.
Sì, questo vino, 100% Nebbiolo, è invece dedicato a mio figlio Riccardo. Dopo la fermentazione in acciaio, viene messo a riposare in botti grandi di rovere austriaco per 12-15 mesi, prima di essere nuovamente assemblato in vasche d’acciaio. L’ho chiamato “Testanvisca” perché è un’espressione che in piemontese significa “testa accesa, sveglia” e che mi sembrava perfetta per rappresentare mio figlio. Anche in questo caso ci siamo rivolti ad Alice Lotti per l’illustrazione delle etichette. Dopo aver trascorso un po’ di tempo con noi per trovare l’ispirazione, si è resa conto della grande passione di Riccardo per tutto ciò che ha un motore e ha quindi realizzato sei diverse proposte che lo ritraevano Riccardo intento a guidare un aeroplano, un trattore, un’automobile, solo per citarne alcuni. Alla fine, come accaduto per Seitremenda, abbiamo scelto tutte e sei le etichette, così ogni cassa da sei bottiglie di Testanvisca avrà sei etichette diverse.
Come scegliete i siti per ogni vitigno?
Attraverso l’analisi del terreno e soprattutto valutandone la storicità. Ci sono terreni che, per conformazione geologica e microclima sono perfetti per ospitare determinati vitigni, perché favoriscono un’ottimale maturazione dei grappoli e l’acquisizione delle tipiche proprietà organolettiche per ogni vino. Parte dei nostri terreni sono situati in aree con pendenze pari o superiori al 40% e danno origine a vigne che vengono curate interamente a mano dall’inizio fino alla vendemmia.
Secondo quali criteri curate le vostre vigne?
Cerchiamo di seguire criteri eco-compatibili, lavorando soprattutto sulla prevenzione delle malattie tipiche di ogni vigneto. Questo ci consente di intervenire in modo mirato, riducendo così i trattamenti, e di curare la salute della vigna in modo biologico. Anche in cantina adottiamo tecniche sostenibili, come il recupero delle acque che poi utilizziamo per l’irrigazione. A livello di trattamenti agronomici, lavoriamo per mantenere bassa la produzione, per rispettare la terra e garantire una qualità superiore al prodotto finale.
Com’è andata la vendemmia quest’anno?
Come ogni anno, l’inizio della vendemmia è stato determinato dal grado di maturazione dell’uva, dal suo contenuto zuccherino e di acidità. Sono i cicli naturali che governano il nostro lavoro, noi non dobbiamo fare altro che seguirli. Dal punto di vista qualitativo, quella di quest’anno è stata un’ottima vendemmia, così come quella del 2022. L’unica criticità a livello generale è stata la siccità, che ha abbassato la resa dei vigneti, ma per quanto ci riguarda non è stato un problema, perché, come dicevamo, noi lavoriamo per mantenere bassa la produzione di grappoli a beneficio della qualità finale, quindi non è cambiato quasi niente per noi. Certo, il cambiamento climatico è qualcosa che non possiamo ignorare, stiamo ancora cercando di capire come affrontarlo. Le estati sono particolarmente siccitose e caratterizzate da episodi temporaleschi anche molto violenti che possono mettere in pericolo le nostre uve. Dobbiamo noi per primi imparare a convivere con questi fenomeni e tutelare i nostri raccolti.
Rispetto al passato, pensi che la viticoltura piemontese sia cresciuta e abbia imparato a fare sistema?
Direi proprio di sì. Il nostro sistema è decisamente premiante, perché si basa sulla qualità assoluta dei prodotti. Ormai esiste uno stile piemontese riconosciuto nel mondo, e dobbiamo dire grazie a tutti quei produttori che, prima di noi, si sono caricati del ruolo di ambasciatori dei nostri vini in Italia e all’estero. Nel corso degli anni, il percorso verso la ricerca della qualità è continuato grazie a una nuova generazione di agricoltori, di cui faccio parte anch’io, che hanno sposato la filosofia dei propri avi e che ogni giorno lavorano per realizzare un prodotto sempre migliore. Così facciamo sistema e così troviamo la nostra identità nel mondo enoico internazionale.
Siete da sempre innovatori, pur rimanendo fedeli alla tradizione. Come si sposano queste due anime?
Siamo tradizionali nel modo che abbiamo di approcciare il nostro lavoro. Facciamo il vino in modo naturale, seguendo i cicli delle stagioni e della vigna, adattandoci alle diverse varietà di vitigno e alle loro caratteristiche. Allo stesso tempo, in cantina abbiamo tutta la tecnologia che serve per creare un prodotto di assoluta qualità. La parte innovativa è legata più che altro alle zone in cui le uve vengono lasciate a riposare in attesa della pigiatura. Qui, rimangono a temperatura costante, perfette per essere poi lavorate successivamente.
Quanto sono importanti le persone nella tua azienda?
Sono la base di tutto. Senza una squadra di lavoro capace e di assoluta fiducia non si può fare vino buono. Da sempre, penso che ognuno di noi metta qualcosa di suo nel vino e che anche l’animo con cui si lavora possa fare la differenza in bottiglia. Per questo, il mio team è come una famiglia dove ognuno ha il suo compito e dove ognuno deve trovarsi a suo agio. Così facendo, non solo la vendemmia, ma l’intero processo produttivo del vino è un momento di gioia, paragonabile a quello che si vive quando si apre la bottiglia.