di CORRADO LARONGA
Ogni tanto con Menu à Porter ci piace mettere il naso fuori da Torino e provare qualche locale che, lo ammettiamo, un po’ invidiamo alle altre regioni d’Italia. È il caso di Rezzano Cucina & Vino, nome molto noto in quel di Sestri Levante, provincia di Genova, da ben 43 anni e già possessore di una stella Michelin a cui anche la nuova generazione strizza l’occhio dichiaratamente, caso più unico che raro al giorno d’oggi.
Abbiamo intervistato il protagonista del nuovo corso, Matteo Rezzano, che per la verità ama definirsi “co-protagonista”, altra qualità che nell’universo egoriferito dell’alta gastronomia contemporanea è piuttosto inusuale.
Matteo, ci racconti un po’ di storia del tuo ristorante?
Volentieri. La prima apertura risale al 1982 grazie ai miei nonni, Gabriella Paganini e Giancarlo Rezzano, che sono stati non solo i miei maestri, ma i miei primi ispiratori. La chef era la nonna, ed è stata lei ad accompagnare i miei primi passi in cucina quando ero bambino, mentre il nonno, qualche anno dopo, mi ha introdotto all’arte del servizio di sala. In meno di 10 anni con il loro lavoro hanno conquistato la stella Michelin, che hanno mantenuto fino al 2001, l’anno in cui, per motivi principalmente legati all’età avanzata, hanno deciso di chiudere l’attività.
Chi fu a riaprire?
L’idea è stata di mia mamma, Silvia Rezzano, che nel 2002 ha preso in mano la gestione del locale aiutata comunque dai miei nonni, che senza più affrontare i ritmi di prima hanno comunque dato sempre una mano, perché la passione di una vita può trasformarsi, ma difficilmente si esaurisce.
La formula con cui mamma ha riaperto era uguale a quella della gestione precedente?
No, era profondamente diversa. Innanzitutto, mia mamma ha una formazione da maître di sala e sommelier, il che la rende un po’ una pioniera per i suoi tempi, quando a fare quel mestiere erano principalmente gli uomini. Galeotto, comunque, fu un viaggio a Parigi durante il quale si innamorò del concetto di bistrot francese al punto tale da volerlo replicare a Sestri Levante. Decise quindi, insieme ai nonni, di arredare il nuovo locale nello stile dei bistrot dell’epoca, con tanto legno, sedie da regista e una mise en place semplice, affiancando un’offerta gastronomica molto snella, con il solo menu alla carta e piatti sempre preparati con ingredienti di giornata, a seconda di ciò che offriva il mare.
E poi sei arrivato tu.
Sì, il mio ingresso è avvenuto un po’ per volta, nel rispetto di una storia che per me ha sempre avuto un certo peso e dei personaggi che l’hanno scritta. Nel 2015 ho cominciato a svolgere regolarmente il servizio e contemporaneamente frequentavo il corso da sommelier che ho concluso nel 2018, anno in cui, dopo tre anni di sala, ho deciso di passare in cucina.
Quindi tu non hai una formazione da chef?
No, non in senso accademico, per lo meno. Ho vissuto la cucina del ristorante fin da quando ero bambino, ma non ho mai studiato per fare lo chef, se è questo che intendi. Ho una formazione da autodidatta e oggi sono convinto che sia proprio questa la mia forza, perché non mi sento per niente arrivato, anzi, credo che avrò da imparare per tutta la vita perché in qualunque lavoro creativo – e la cucina è uno di questi – ci sono sempre nuovi stimoli, nuove correnti, nuove suggestioni da indagare per poter arricchire il proprio bagaglio di conoscenze e di ispirazioni. E poi, cosa più importante, in cucina non sono da solo.
Parli della tua brigata?
Sì, ma anche dei miei colleghi chef.
Nel senso che nella vostra cucina c’è più di uno chef?
Esatto. Il mio ingresso è stato, come ti dicevo, molto graduale. Ho cominciato a proporre e a sperimentare uno stile di cucina più moderno nelle tecniche, nel pensiero e nel metodo, senza mai voler snaturare l’identità forte di un locale a conduzione familiare, riconosciuto per essere alfiere della tradizione e del territorio. È stato solo l’anno scorso che, dopo attente riflessioni, abbiamo deciso di dare un taglio più “fine dining” alla nostra proposta, e per farlo al meglio ho capito che la scelta vincente era quella di circondarmi di professionisti in grado di portare conoscenze, punti di vista ed esperienze diverse. Così, a marzo del 2024 è entrato in brigata Nicholas Figliomeni, ligure come me, con esperienze di livello internazionale tra Parigi (nei tre stelle di Yannik Alleno) e l’Italia (con Antonino Cannavacciuolo a Villa Crespi). Infine, giusto questa settimana abbiamo definito l’ingresso di un altro numero uno, Jorg Giubbiani, che condivide le nostre stesse origini e che ha lavorato per nomi del calibro di Quique Dacosta ad Alicante. Del resto, non si dice forse che 3 è il numero perfetto?
Alcuni direbbero che tre galli in un pollaio non possono convivere.
Noi la pensiamo diversamente. È vero, siamo tutti giovani, ma abbiamo un background ricco di soddisfazioni e non siamo qui per cercare riconoscimenti individuali. Il nostro obiettivo è quello di riportare Rezzano a essere protagonista in un panorama gastronomico fine dining fatto a modo nostro, quindi accessibile, buono e territoriale. Non avremo ruoli in cucina, non saremo una brigata, ma un team che scriverà i menu insieme e preparerà i piatti insieme. Inusuale, forse, ma siamo d’accordo tutti e tre.
Dicci la verità, un pensiero a riportare la stella Michelin a Sestri Levante lo avete fatto?
Certo, sarei disonesto a dirti di no, ma non è quello il primo obiettivo. Quello che vogliamo è fare una cucina che rispecchi da un lato il nostro territorio e dall’altro le nostre passioni. Il terzo chef, per esempio, è un fenomeno nella cucina vegetale. E attenzione: per fare cucina vegetale, non serve andare molto lontano. La Liguria ha un ventaglio di prodotti vegetali incredibile e quello che vogliamo fare è dimostrare che con ciò che abbiamo in casa si può fare alta cucina in tutte le sue forme. Matteo, per esempio, è fortissimo nella cucina di mare, quindi non vediamo l’ora di presentare il nuovo menu, che in ossequio ai famosi “mari&monti” degli anni ’80 proporrà tutto ciò che di più buono si può trovare nei diversi ambienti della nostra regione.
Hai definito il tuo ristorante “accessibile”. Cosa significa?
Significa che vogliamo fare alta cucina, ma al giusto prezzo, senza strafare. Vogliamo che i nostri ospiti si trovino bene da noi e che tornino, magari con gli amici o con i familiari, perché convinti che quella da Rezzano sia un’esperienza che vale la pena di essere condivisa. La stessa cura che mettiamo in cucina la riproponiamo anche in sala, dove il servizio è coordinato da mia moglie, Ilaria Grando, con la stessa idea di qualità e informalità.
Va bene, ci hai convinto, brindiamo alla vostra, magari con uno dei vostri vini…
C’è da sbizzarrirsi anche in cantina. Abbiamo selezionato tante etichette che per la maggior parte provengono dal territorio e da piccoli produttori, agricoltori puri, molti protagonisti di quella che viene chiamata “viticoltura eroica”. Sicuramente a farla da padrone, visto il tipo di cucina che proponiamo, sono i bianchi e le bollicine, tra spumanti italiani e champagne. Ma, visto che siete piemontesi, vi assicuriamo che anche i rossi non saranno da meno!