di CORRADO LARONGA
La Perla di Torino compie 30 anni e il suo cioccolato è più richiesto che mai. Ma da dove è nato tutto? Come ha affrontato l’azienda le sfide della modernità? Quali sono i progetti per il futuro?
Ne parliamo con Valentina Arzilli, titolare e Managing Director
Valentina, sono già 30! Ma com’è nata l’avventura de La Perla di Torino?
Sono nata in una famiglia in cui l’arte bianca è sempre stata protagonista. Mio papà era un noto pasticcere di Torino, ma intorno agli anni ’80 ha cominciato ad avvertire uno strano malessere in laboratorio, fin tanto che non gli è stata diagnosticata la celiachia. Necessariamente ha dovuto reinventarsi, scegliendo di acquistare un immobile in via Catania 9 per aprire una rivendita di dolciumi. Ma c’era un problema: è sempre stato un creativo, quindi limitarsi a rivendere qualcosa fatto da altri non era nelle sue corde. La lavorazione del cioccolato è sempre stata una sua passione e una città come Torino offriva molte prospettive da quel punto di vista. Tuttavia, fare l’ennesimo gianduiotto non era il suo obiettivo, lui voleva inventare qualcosa di nuovo.
È così che sono nati i tartufi per cui adesso siete famosi in tutto il mondo?
Esatto. È un prodotto che non abbiamo certo inventato noi, ma l’abbiamo riscoperto e riportato in auge da antichi ricettari langaroli, che citavano questi tartufi di cioccolato chiamati così per la somiglianza che avevano, nella forma, con il Tartufo Bianco d’Alba. Mi ricorderò sempre la sera in cui mio padre tornò a casa con i primi te esperimenti: un tartufo fondente, uno meno fondente e uno al latte. Assaggiarli è stato l’inizio del sogno, anche se allora non lo sapevo ancora. Comunque, da quei tre prodotti è nata La Perla, che mio padre chiamò così come omaggio a quella che lui considerava la vera perla di Torino, cioè la Mole Antonelliana.
Quando sei cresciuta sei entrata subito in azienda?
In realtà no, ho preso un’altra strada all’inizio. Mi interessavano l’economia e sviluppo d’impresa, quindi dopo aver terminato gli studi ho lavorato un anno a Londra, poi Roma, Firenze e infine sono tornata a Torino. Poi è capitata una circostanza curiosa che mi ha fatto riflettere sul mio futuro. Mio padre stava partendo per Cibus e io ho deciso di accompagnarlo. Nel nostro stand ho visto così tanti occhi brillare quando le persone assaggiavano i nostri tartufi che sono rimasta affascinata. Ho capito che il nostro prodotto non era solo buono, ma aveva anche qualcosa in più, qualcosa che in primis dovevo comprendere appieno e che poi avrei dovuto imparare a comunicare.
E hai capito qual è l’ingrediente segreto?
Sì, ma non è solo uno, ce ne sono tanti. Quando sono entrata in azienda c’erano quattro persone, tra cui mio padre, che portavano avanti da anni l’azienda con grande passione, credendoci davvero. Ho capito che il mio ingresso doveva avvenire per gradi, per il profondo rispetto che nutrivo e che tuttora nutro nei confronti del lavoro fatto fino ad allora. Così, ho cominciato a sviluppare il progetto dell’estero e a raccogliere feedback molto positivi che mi hanno convinta che la strada fosse quella giusta. Se oggi La Perla di Torino esporta più del 50% della sua produzione è perché tutti noi ci abbiamo messo qualcosa: passione, competenze, visioni, sogni, incontri e anche scontri, perché mio padre è sempre stato un osso duro e per convincerlo a cambiare qualcosa ho sempre dovuto prima dimostragli che poteva funzionare.
Poi avete iniziato a crescere.
Esatto. Era il 2006, sulla fortunata scia delle Olimpiadi Invernali di Torino. Avevamo un prodotto eccellente, una struttura aziendale ben avviata e tanta voglia di fare. Era ora di farlo sapere a tutti! Così abbiamo sviluppato l’e-commerce, fatto uno studio di posizionamento del brand, ripensato il packaging ed eccoci qua. Nel frattempo, l’azienda è cresciuta tantissimo e insieme al punto vendita di via Catania 9 è nato il laboratorio in Lungo Dora. Era il 2016.
Quindi sono stati 30 anni di successi, ma c’è voluto molto impegno.
Sì, ce n’è voluto davvero tanto. Però non mi è mai pesato, perché sono davvero appassionata di quello che faccio, non lo dico tanto per dire. Mio padre mi ha insegnato che se devi fare una cosa bene, tanto vale farla in modo ottimo ed è una filosofia che ho fatto mia fin da subito. Quando abbiamo creato il laboratorio lo abbiamo fatto guardando alla praticità, ma anche alla sostenibilità, utilizzando materiali di recupero o a basso impatto ambientale, ottenendo diverse certificazioni e rendendo lo spazio completamente gluten free, perché in un mondo che diventa sempre più esclusivo, noi cerchiamo di percorrere la strada opposta, quella dell’inclusività.
Cosa significa?
Significa che i nostri prodotti devono essere per tutti. Quindi la nostra gamma, che si tratti di tartufi, di praline o di cioccolato, deve essere gluten free, deve avere delle referenze vegan o con una percentuale inferiore di zuccheri e, soprattutto, deve essere versatile. Per questo, oggi abbiamo più di 20 gusti differenti di tartufi, realizzati sempre tutti con lo stesso metodo: a partire da Nocciole Piemonte IGP solo di un certo diametro (le migliori), con materie prime di altissima qualità, dal cioccolato ai lamponi o ai pistacchi, per esempio, e con un controllo accuratissimo sul bilanciamento degli ingredienti. Ma con il nostro Pastry Chef Filippo Novelli siamo sempre in ottime mani!
Pensi che la cultura del cibo, e di conseguenza quella del cioccolato, sia cambiata negli anni?
Assolutamente sì, lo vediamo qui con i nostri occhi. I consumatori di oggi sono molto più informati e molto più attenti alla qualità di ciò che mangiano. Lo fanno per un discorso di salute, ma anche di etica e di gusto personale. Ciò che è buono, fatto bene e in modo etico è preferito a ciò che non ha queste caratteristiche.
Secondo te da cosa deriva questo cambiamento?
Sicuramente abbiamo molto più accesso rispetto a prima a un numero enorme di informazioni e di fonti. Poi è probabile che gli effetti di comportamenti poco virtuosi – rivolti verso di noi, verso altri esseri umani e verso l’ambiente – siano più visibili in un mondo così connesso come quello in cui viviamo. E forse, complice anche la pandemia, oggi cerchiamo di volerci tutti un po’ più bene: se individuiamo qualcosa che pensiamo possa farci stare meglio lo approfondiamo, e il cibo può essere una fonte importante del nostro benessere.
Quindi conta molto anche l’aspetto umano nel consumatore.
Certo, ma non solo nel consumatore. Prendi proprio il nostro esempio. All’inizio erano in 4, siamo cresciuti tantissimo in 30 anni e non avremmo potuto farlo senza le persone. Anche questo è un discorso già sentito, ma per me ciò che conta di più in azienda sono le persone che ne fanno parte. Ogni mattina arrivo e faccio il giro del laboratorio, dando il buongiorno a tutti. Non lo faccio perché devo, ma perché mi fa piacere, perché vuol dire che passeremo un’altra giornata insieme e soprattutto che stanno tutti bene. Quando si parla dell’ambiente ci si dimentica troppo spesso che anche gli esseri umani ne fanno parte. È inutile, oltre che intollerabile, rispettare l’ambiente e non rispettare le persone.
Dici questo in un momento in cui, tra guerre e altre catastrofi, il rispetto per le persone sembra proprio essere finito all’ultimo posto.
È vero, la situazione geopolitica attuale è spaventosa. Ma io non sono mai stata una pessimista, e in quanto imprenditrice devo essere pragmatica, concentrarmi su quello che posso fare per migliorare la situazione e non su pensieri che non avrebbero altro risultato se non quello di portarmi a lottare contro i mulini a vento. Le persone che lavorano con me sono a conoscenza di tutto quello che succede in azienda, perché SONO l’azienda. Vengono valorizzate e viene valorizzato il loro lavoro perché senza di loro non esisterebbe La Perla. Altro che 30 anni, senza le persone giuste non saremmo sopravvissuti nemmeno uno. Questo non significa che qui non ci sia da lavorare, anzi: io sono una perfezionista, sono una sempre alla ricerca di nuovi stimoli e amo vedere i miei collaboratori dare il massimo. Ma restando umani, altrimenti tutto perde di senso.
Come vedi il presente e il futuro, alla luce dell’instabilità di cui abbiamo parlato prima?
Ti confesso che per noi, il presente è già ieri. E ti spiego perché. A settembre 2021, quando nessuno aveva ancora sentito parlare di problemi di approvvigionamento o di crisi energetica, noi avevamo già gravi problemi a reperire carta, cartone, alluminio e plastica. Ma l’opinione pubblica non aveva idea di tutto questo, quindi anche giustificare i ritardi ai nostri acquirenti non è stato per niente facile, perché ancora non c’era, nel sentire comune, la percezione della crisi. Poi i prezzi hanno cominciato a lievitare. A partire da settembre scorso abbiamo cominciato a ricevere dai fornitori una serie di mail che, a cadenza settimanale, ci informano di quale sarà l’aumento di un determinato bene e la sua reperibilità. È un anno che non possiamo calcolare con precisione un food cost o fare una programmazione. Come conseguenza, abbiamo assorbito tutti gli aumenti del 2021 da settembre a dicembre, per una questione di scelta e di riconoscenza nei confronti di chi crede in noi da tanti anni.
E come sta andando il 2022?
Oltre a quanto detto prima, dobbiamo fare i conti con il caro energia. Siamo immersi in una bolla che non si sa quanto sia reale e quanto sia speculativa, ma ci siamo dentro e fino a quando saremo in grado di sostenere la struttura dobbiamo andare avanti. Abbiamo la responsabilità di 40 famiglie, non c’è tempo di fermarsi e comunque non è nel mio carattere. La campagna di Natale, che abbiamo aperto a maggio con le prenotazioni e ad agosto con la distribuzione, sta andando molto bene, e per tutelarci dalla possibilità di ritardi nella consegna della merce abbiamo stoccato molto materiale nei nostri magazzini, che abbiamo ristrutturato da poco. Certo, è stato un azzardo, perché la merce l’abbiamo pagata a maggio e gli incassi ci saranno a novembre, ma è il modo migliore che ho trovato per mettere in salvo la nostra produzione e garantire le consegne ai nostri clienti.
Come vedi il futuro
La pandemia ci ha insegnato che siamo tutti connessi e che se succede qualcosa di grosso è tutta l’umanità a farne le spese. Spero che la situazione non peggiori, ma nel frattempo noi ci rimbocchiamo le maniche e andiamo avanti. Lo devo a mio padre, lo devo ai mie collaboratori, lo devo ai nostri clienti e anche un po’ a me stessa, che in questa avventura metto ogni giorno tutte le mie energie!