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Il vino è un affare di famiglia – Intervista a Denise Marrone

Fare vino è un’arte in cui non ci si può improvvisare. Alla guida delle grandi Cantine del Piemonte troviamo quasi sempre grandi famiglie che di generazione in generazione hanno tramandato il sapere, la passione e l’amore per una terra ricca come poche altre al mondo.

La famiglia Marrone, proprietaria dell’Azienda Agricola Marrone, non fa eccezione. Ci racconta la sua storia Denise, che con le due sorelle rappresenta la nuova generazione della storica Cantina.

Denise, quando nasce l’avventura dell’Azienda Agricola Marrone?

Inizia circa un secolo fa a Madonna di Como, dove la mia famiglia aveva una di quelle tipiche cascine piemontesi in cui si allevavano gli animali, si coltivava la terra, si faceva il formaggio e anche il vino. Ho ancora impressa negli occhi l’immagine di mia zia che fila la lana e fa le canottiere a mano, sono ricordi che custodisco con grande affetto.

Dalla cascina siete passati a una vera e propria Azienda Vitivinicola. Come è successo?

Mio nonno Carlo, il papà di mia papà, è stato tra i primi a credere nel vino di qualità. Per molto tempo in Piemonte, così come nel resto d’Italia, il vino veniva venduto solo in damigiane e l’obiettivo in vigna era esclusivamente quello di produrne in grandi quantità, spesso sacrificando la qualità. Io mi ricordo bene il passaggio dalle grandi damigiane alle bottiglie, il lavoro in vigna che cambiava, la resa che si abbassava in favore della qualità del vino. È stato un percorso quasi naturale che ci ha portato a essere ciò che siamo oggi.

azienda agricola marrone

Oggi l’azienda si sviluppa su piani diversi, ce ne vuoi parlare?

Certo. Oltre che dell’azienda di famiglia lavoro anche nel settore turistico, quindi l’ospitalità per me è una grande passione oltre che un requisito fondamentale che una zona come la nostra deve avere. Per questo all’interno della nostra Cantina ci si può anche accomodare a tavola e mangiare quello che mia mamma e lo Chef preparano ogni giorno. Non siamo un ristorante però, siamo la cucina della Cantina Marrone: non abbiamo un nome, non abbiamo un’insegna, e soprattutto vogliamo che il vino sia protagonista. I piatti sono sempre gli stessi perché sono quelli che si abbinano meglio con i nostri vini e perché sono i classici di Langa, ricette tramandate di generazione in generazione che abbiamo il piacere di far gustare tutti i giorni ai nostri ospiti.

Proprio come se fossimo in famiglia.

Esatto. Del resto la nostra è un’azienda a conduzione familiare: mia mamma, mio papà e noi tre figlie. Valentina, la più giovane, è l’enologa, poi c’è Serena che si occupa di tutto l’aspetto amministrativo e burocratico insieme a suo marito Marco, specializzato in mercati esteri, e poi ci sono io che mi occupo sia dell’aspetto commerciale che dell’accoglienza. I nostri genitori sono entrambi molto presenti: mamma Giovanna si occupa della cucina del ristorante mentre nostro papà, Gian Piero, è un po’ il coordinatore di tutto, anche se la campagna continua a essere il suo posto preferito in assoluto.

famiglia marrone

È difficile lavorare tutti insieme?

Alle volte sì, ma io non potrei farne a meno. Alla fine della giornata anche se abbiamo litigato torniamo a casa come se nulla fosse successo, perché siamo una famiglia e perché amiamo davvero la nostra attività. È ciò per cui hanno lavorato le generazioni precedenti, senza le quali non saremmo qui oggi. Dobbiamo grande rispetto a loro e a ciò che hanno creato.

Passiamo al vino. Tra quelli che producete, qual è il tuo preferito?

Te ne dico tre: Tre Fie, Pichemej e La Pantalera. Sono quelli che faceva già mio nonno e che secondo me rappresentano al meglio la nostra Cantina. L’Arneis Tre Fie è dedicato a noi tre figlie ed è l’unico bianco che produciamo. Pichemej, che in dialetto significa “più che meglio” è un Barolo puro, il nostro orgoglio, una delle migliori espressioni del nostro territorio. Infine c’è la Barbera superiore La Pantalera, che si chiama così in onore del gioco preferito di mio nonno, una variante del pallone elastico che si gioca in alcune zone di Piemonte, Liguria e Lombardia. Le partite in piazza erano anche l’unica occasione in cui mia nonna consentiva a mio nonno di uscire di casa, per cui immagina quanto fosse affezionato a questo vino se lo ha chiamato proprio così! (ride n.d.r.)

Ne cito un ultimo che è il nostro Nebbiolo, quello che per me è IL vino, IL vitigno. Abbiamo sopra Alba una vigna che ci regala un Nebbiolo superiore che, a parer mio, non ha niente da invidiare a un Barolo.

Dovevo immaginare che non potessi avere un solo vino preferito. Del resto come si fa in una Regione come il Piemonte, forse la più ricca di vitigni autoctoni?  

In effetti credo che tanti vitigni autoctoni come ci sono in Piemonte non ci siano da nessun’altra parte. Alcuni stanno rinascendo ed è un vero piacere poterli bere, mi vengono in mente per esempio la Nascetta, il Pelaverga, anche la Favorita. Ci sono stati così tanti cambiamenti tecnologici, climatici e produttivi che è normale che vengano recuperati vitigni che una volta non si era più in grado di gestire per svariati motivi. Sono dei veri e propri tesori che forse meriterebbero di essere comunicati anche di più, ma siamo piemontesi in questo, non sappiamo ancora valorizzare al meglio la nostra ricchezza.

Perché capita, secondo te?

Dobbiamo essere onesti: oggi ci sono molte più iniziative rispetto a un tempo, i consorzi turistici lavorano benissimo e sono contenta di ciò che stanno facendo per promuovere il Piemonte. Non è un caso che siano arrivati riconoscimenti internazionali importanti come l’ingresso di Langhe, Roero e Monferrato nei Patrimoni dell’Umanità UNESCO o il primo posto nella classifica 2019 “best in travel” di Lonely Planet, che raccoglieva i più bei luoghi al mondo da visitare nel 2019. Però manca ancora qualcosa, arriviamo sempre a un certo punto e poi ci fermiamo. Un limite secondo me sono le lingue: ancora troppo pochi parlano quelle necessarie ad accogliere i turisti, tanto è vero che spesso sono più divertenti e “welcome” i miei genitori rispetto a quelli della mia generazione. I miei, anche se non capiscono quello che i turisti gli dicono, li abbracciano e gli danno un bicchiere di vino. Esiste qualcosa di più bello?

famiglia marrone

Secondo te i vostri figli continueranno a lavorare nell’azienda di famiglia?

Io ne sarei contenta perché potrebbero sviluppare tanti progetti nuovi e potrebbero farlo insieme. Lo vedo con mia figlia in questi giorni di quarantena: ha 12 anni a aiuta me con i social, pensa cosa saprà fare tra 10 anni. I miei nipoti poi sono ancora più giovani, sarebbe bello vederli lavorare tutti insieme un giorno.

Hai citato la famigerata quarantena. Come la stai vivendo?

A livello aziendale sono successe tante cose spiacevoli, a cominciare dal fatto che ho dovuto chiudere il ristorante e lasciare temporaneamente a casa i nostri ragazzi dell’accoglienza. Mi mancano tantissimo e non vedo l’ora che tutto sia finito per poterli riavere qui tutti i giorni. Ho poi ricevuto, com’è ovvio, tante disdette per visite in cantina e prenotazioni, ma sono fiduciosa: ripartiremo con un nuovo spirito e sono sicura che faremo anche meglio di prima.

A livello personale, la cosa che più mi ha colpito è la privazione di quelle libertà che davamo per scontate, tipo quella di muoversi. Ora per uscire di casa bisogna usare mille (sacrosante) accortezze che prima erano impensabili. Chiariamoci: per me è fondamentale rispettare le regole, anche perché la mia libertà finisce dove comincia quella del mio vicino, quindi non mi sto lamentando. È solo strano pensare che quello che prima facevi con così tanta naturalezza debba oggi essere studiato nei minimi particolare, come andare a fare la spesa per esempio. Poi ci sono anche gli aspetti positivi: con tutto questo tempo a disposizione ho rivisto (rigorosamente in videochiamata) persone che non vedevo e sentivo da anni. Siamo lontani, ma in un certo senso è come se fossimo più vicini.

Chiudiamo con una domanda difficile: potresti fare quello che fai qui da un’altra parte?

In effetti è difficile. La risposta è sì, potrei farlo. Potrei farlo perché con un computer posso lavorare ovunque e perché la mia attività mi porta a viaggiare spesso in giro per il mondo. Potrei farlo, ma non voglio farlo. È vero, viaggio tanto, ma alla fine torno sempre qui e quando rivedo la mia gente, la mia cantina e le mie colline penso che non esiste nessun altro posto al mondo in cui vorrei vivere. Quando le mie sorelle e io eravamo piccole, a mio padre dicevano sempre che con tre figlie sarebbe andato in fallimento perché non avremmo saputo lavorare in campagna. Invece siamo tutte e tre ancora qui e siamo più felici che mai. Da ragazzina lavoravo in campagna con mia nonna tutte le estati, ho addirittura imparato a guidare il trattore. Questa terra la sento davvero mia, l’ho amata e l’ho vista cambiare ogni giorno della mia vita. Lasciarla sarebbe impossibile.

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