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Paolo Montanaro racconta il Tartufo Bianco d’Alba

di NADIA AFRAGOLA

Un’intuizione. Nasce da lì Tartuflanghe nel 1975. Il frutto più pregiato di una terra e il nome di quel territorio che nel frattempo si è fatto patrimonio mondiale. Oggi a capo troviamo Paolo Montanaro: l’azienda è Ancora a conduzione famigliare. L’hanno resa grande loro l’Italia, le grandi famiglie di imprenditori italiani. Come Beppe, papà di Paolo. Gente che è capace di calcare il più importante dei red carpet, senza dimenticare mai da dove arriva. La terra.

Tartufo Bianco

Paolo, è il tuo momento. Il tuo periodo dell’anno. Come stai? Come sta la terra, la tua, quella dalla quale ogni anno dal 1975 traete spunti e frutti che rendono unico il nostro ecosistema nel mondo?

Questo sarà un anno particolare, vista la siccità che ha colpito tutta Italia. Solitamente c’è un periodo estivo in cui i temporali e le piogge permettono la formazione di un fondo umido nel terreno che agevola lo sviluppo dei tartufi. Nel 2022 queste piogge sono mancate, di conseguenza abbiamo una produzione molto limitata. Di solito il tartufo bianco che nasce in questo periodo, cresce sui pendii rivolti a nord, mentre oggi raccogliamo quello a fondo collina, dove confluisce più acqua. Le zone di raccolta a valle sono chiaramente più limitate rispetto a quelle collinari. Il tutto influisce sulla quotazione, che è altissima, data anche la grande richiesta. A novembre raggiungeremo il picco in termini di quantità. Al netto della siccità, a livello generale lo stato di salute della nostra terra sta migliorando, ci sono sempre più persone che investono nella messa a dimora di nuovi alberi, la sensibilità sta crescendo e prima di disboscare per fare un vigneto ci si pensa due volte. È bello vedere come le nuove generazioni dimostrino più attenzione.

Cambiamenti climatici. Cosa è ambiato per il tartufo bianco? È vero che ad ottobre praticamente è ancora in qualche modo “scarico” di tutti quei sentori che lo contraddistinguono da sempre? 

A livello qualitativo non ci sono differenze rispetto agli altri anni. La ragione è intrinseca nella natura stessa del tartufo, che è un fungo che nasce e cresce sottoterra, a un certo punto della sua vita inizia a maturare e per potersi riprodurre produce gas (lo stesso che identificano i cani da cerca) che attira insetti o lumache che mangiandolo disperdono nell’ambiente le spore. Il suo modo di crescere, quindi, è sempre lo stesso. La grande differenza tra un anno e l’altro è a livello di quantità. Rispetto a quaranta anni fa ci sono ettari ed ettari di bosco in meno ed il cambiamento climatico sta ritardando la produzione. Se negli anni duemila a settembre già si cavava il tartufo bianco, oggi è una rarità, e quando si trovano vanno attentamente selezionati.

Eppure, la percezione di un tartufo dei primi giorni di ottobre non è la stessa di uno prodotto a fine novembre.

A inizio maturazione il tartufo non ha ancora quella complessità tipica di un prodotto già maturo. poi ci sono differenze tra zone di provenienza ed alche tra le specie di alberi che lo producono. Bisogna raccoglierlo nel momento giusto. E non sono sorvolabili le variabili dettate dalle annate (come per i vini, non sono tutte uguali), oltre che le differenze tra le zone di produzione e tra una specie e l’altra di alberi che li producono.

Tartufo Bianco

Quest’anno come sarà il tartufo?

Quel poco che c’è sarà ottimo! Ad oggi, a fine ottobre 2022 viene venduto a 5.500 € al chilogrammo.

In tanti dicono che circola tanto tartufo contraffatto. Come si riconosce il nostro tartufo?

Un tartufo bianco importato è generalmente raccolto, tenuto 3-4 giorni dai contadini in condizioni non ottimali (spesso all’estero si organizzano settimane intere di cerca in tenda, dove non ci sono frigoriferi o altro), trasportato in Italia e venduto. Quindi sicuramente il primo dato da rilevare è la freschezza, al contrario del nostro prodotto che viene raccolto e venduto quotidianamente. Dal punto di vista fisico, ogni regione ed ogni nazione ha delle differenze, lo stesso vale per le qualità organolettiche. Chi è del mestiere riesce a cogliere tutto questo. Sul banco, la denominazione del prodotto è già un ottimo indicatore. Alcuni anni fa il tartufo ha subito un’evoluzione giuridica, per cui è stato inserito nella lista dei prodotti agricoli. Questo comporta l’imposizione di un regolamento, che dice in sostanza che se si inserisce nel nome del prodotto una denominazione geografica, bisogna garantire al consumatore che il prodotto venga proprio da quel luogo. In tutto il mondo, se c’è scritto Alba, il tartufo deve venire da lì. Ora che siamo rientrati nella dicitura dei prodotti agricoli, riceveremo sovvenzioni come altri paesi tipo la Spagna (che è il più grande produttore di tartufo nero) che ha prodotto grazie a questi finanziamenti un’enorme quantità di aree boschive. Per quanto riguarda la denominazione ci sono due correnti di pensiero: la prima sostiene che il Tuber Magnatum Pico è il Tartufo Bianco d’Alba, indipendentemente da dove provenga, il che significa che in qualunque paese d’Europa io possa cogliere il Tartufo Bianco d’Alba, anche se mi trovo in Austria, per ipotesi. Questo approccio genera una problematica di difficile gestione: se tutto il tartufo si chiama allo stesso modo, come faccio a sapere che quello che mangio ad Alba sarà più buono? È un po’ come se tutti i vini rossi italiani si chiamassero Barolo. Chi verrebbe ancora a Barolo a degustarli? La seconda corrente sostiene che il Tuber Magnatum Pico si deve chiamare solo Tartufo Bianco (che è ciò che la legge dice dal 1985), e a questa denominazione vadano aggiunte poi informazioni volontarie relative alla zona di produzione, a chi lo ha colto, alla posizione esatta, alla data e al nome del cane, volendo. A mio avviso ogni zona deve essere ben identificata sul banco; quindi, propendo per la seconda scuola di pensiero.

SAPEVI CHE LA RICERCA DEL TARTUFO RIENTRA TRA I BENI IMMATERIALI PROTETTI DALL’UNESCO?

Tartufo Bianco

Come si coltivano i boschi e perché avete deciso di farlo? Per colpa dell’uomo vero?

Tutto nasce da mio cognato, che è contadino e da tre generazioni si occupa della terra coltivando uva, fieno, animali e frutta, con quell’impostazione tipica multiprodotto delle vecchie aziende agricole. Da qui siamo partiti per costruire la Pedemontis, che è un’azienda agricola che ricalca appunto le antiche usanze. Uno dei prodotti su cui si basa la nostra economia è il tartufo, abbiamo circa quaranta ettari di tartufaie riconosciuti dalla Regione Piemonte, soggette a manutenzione costante e a potature apicali, perché da quando non è più necessario raccogliere legna per scaldare le nostre case, i boschi si sono infittiti e la luce non arriva più a terra, il che non agevola la crescita del tartufo bianco. Inoltre, siringhiamo il terreno con delle soluzioni che contengono spore di tartufo prodotte da Tartuflanghe. Sulla scia di questo grande impegno, stiamo calcolando quanto ossigeno producono i nostri 200 ettari di proprietà.

Uno dei vostri claim è “Creatività gastronomica contemporanea”. Mi dai delle coordinate della tua creatività, se mai fosse possibile ingabbiare la creatività dentro dei confini certi? 

Questo claim va di pari passo con un’altra definizione che ci descrive bene, che è: “guidati dalle stelle”: collaboriamo con chef che conoscono la nostra tecnologia e ci chiedono di creare degli ingredienti ad hoc, tipo formaggi o ricci in polvere. Questi diventano poi articoli o parti di preparati che noi vendiamo. Oltre a questo, realizziamo anche prodotti tipici, come i tajarin fatti a mano.

Leggendo di voi, il collegamento che viene da fare è con il The Tunnel, il laboratorio creativo di Moreno Cedroni a Senigallia.

Adoro la creatività contemporanea di Moreno. Penso che sia un territorio ampissimo e bello da esplorare e condividere. Ci spingiamo ovunque ci porti l’immaginazione, abbiamo esperienza anche nell’uso delle stampanti 3D, per ora applicate ai cocktail, ma che un domani interesseranno la cucina. Con gli anni ho capito che la liofilizzazione è il miglior metodo di conservazione perché preserva il 100% dei sapori, dei profumi e delle proprietà dell’ingrediente.

I gusti del futuro… in che direzione stiamo andando? 

Oggi vale più che mai la regola del “less is more”, il cibo si sta snellendo, gli ingredienti saranno sempre meno, si va verso una maggiore pulizia dell’etichetta. Conservanti e additivi andranno a ridursi.

Come si sovverte il sistema, voi che avete messo “dentro”, ciò che era messo sempre “sopra”?

È stato mio padre che nel 1990 ha sovvertito l’ordine delle cose. Tutti lamellavano il tartufo bianco sopra la pasta, lui ha deciso di metterlo nell’impasto. Fin dai quattro anni sono sempre stato in cucina, ho imparato tutto da mio padre, era un grande creativo, passavo le mie giornate ad asservarlo e ad assimilare.

Parliamo di filiera. Come si lavora sul “valore”? 

Stiamo proprio finalizzando in questi mesi una filiera che si basa sulla creazione di nuovi boschi e sulla ricerca di persone interessate a produrre tartufo, che verranno finanziate attraverso un istituto bancario. Chi prenderà parte al progetto non pagherà nulla finché la pianta non inizierà a produrre, e noi faremo da garanti nell’acquisto del 75% della produzione di tartufo ad un prezzo più alto di quello di mercato (l’altro 25% può essere liberamente venduto dai produttori). Filiera nel nostro caso significa garantire la provenienza, generando fiducia nel consumatore, che sarà quindi disposto a spendere un po’ di più.

State provando a renderlo pop, il tartufo. Mettendo sul mercato snack e frutta secca al tartufo. L’idea è di cambiare il target di riferimento? 

Alcune varietà di tartufo sono già popolari e meno proibitive. Siamo stati i primi a proporre le patatine al tartufo, e quest’anno stiamo realizzando degli snack rivestiti da una pellicola al tartufo. Inoltre, abbiamo approcciato il settore del travel retail, i nostri prodotti sono nelle cabine delle navi da crociera, nelle business class degli aerei e nelle stanze d’hotel. Questo permette di avvicinare chiunque al tartufo, per poi portarli a consumare il prodotto fresco.

 

 

 

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