di EDOARDO GATTI
Era l’ottobre del 2022 quando Fabio Sgrò faceva il suo ingresso nelle cucine di Guido da Costigliole, uno dei due stellati della storica famiglia Alciati, ristoratori nelle Langhe da tre generazioni.
Pochi proclami per un avvicendamento che in realtà avrebbe potuto riempire le prime pagine di ogni testata gastronomica piemontese che si rispetti, perché l’intero percorso che ha portato il trentottenne Chef a guidare una delle brigate più celebri di Langa si è svolto in pieno stile Alciati: con una discrezione che ormai è cosa rara, per lo meno quando si parla di cucine blasonate.
Il nuovo assetto della cucina di Guido da Costigliole, che dopo pochi mesi ha già concluso con successo il rodaggio, prevede la supervisione costante di Ugo Alciati, con Fabio Sgrò come suo fidato collaboratore, che sotto le sue direttive guida fisicamente la brigata del ristorante di Andrea Alciati e Monica Magnini, gli storici proprietari.
Se la famiglia Alciati non ha bisogno di presentazioni, oggi diamo invece la parola proprio al trentottenne Sgrò, che in una breve intervista ci racconta i suoi esordi e cosa significa, oggi, arrivare alla guida di una cucina così importante in Piemonte.
Fabio, com’è cominciato tutto?
Come comincia più o meno per tutti, cioè con gli studi all’Istituto Alberghiero, nel mio caso quello di Barolo, dove ho capito quasi subito che la cucina sarebbe stata la mia strada. Subito dopo il diploma, ho cominciato a girare per cucine, stellate e non, dove ho appreso tutto quello che ho potuto, per poi fare l’esperienza credo più formativa della mia vita per il momento: tre anni e mezzo in Cina da Umberto Bombana al suo tre stelle Michelin Otto e Mezzo Bombana.
Cosa ti ha lasciato questa esperienza?
Mi ha arricchito incredibilmente dal punto di vista tecnico e poi mi ha permesso di sperimentare diverse sfumature della cucina e delle sue preparazioni, per esempio i fondi di cottura, che sembrerà incredibile, ma in Cina sono una vera e propria arte. Non a caso, nella mia cucina di oggi presto moltissima attenzione ai fondi, che spesso faccio, oppure integro, con il pollame, come da tradizione orientale.
ALLA CORTE DEGLI ALCIATI: FABIO SGRÒ DA GUIDO DA COSTIGLIOLE
E come sei arrivato da Guido?
Tutto è nato conoscendo Ugo Alciati. Abbiamo cominciato a collaborare alla Locanda della Rocca di Arignano, dopo di che si è aperta una possibilità inaspettata con la partenza dello storico Chef di Guido da Costigliole, Luca Zecchin. Così abbiamo deciso di portare la collaborazione su un piano diverso, con Ugo che oggi supervisiona la cucina di Guido e con me che la dirigo.
Qualcosa è già cambiato nella cucina di Guido da Costigliole?
In una realtà storica come questa, devi entrare in punta di piedi. Al momento non è cambiato molto, anche se, d’accordo con Andrea Alciati e Monica Magnini, abbiamo cominciato a introdurre qualche modifica secondo il nostro palato. Tutto ciò che contraddistingue la famiglia Alciati da sempre rimarrà, quindi da Guido da Costigliole troverete sempre il Vitello Tonnato e i Plin di Lidia, per esempio, ma anche su questi piatti storici abbiamo cominciato a fare qualche piccola variazione che in realtà, in alcuni casi, è addirittura un ritorno al passato.
Ci fai un esempio?
Certo: nel Vitello Tonnato, per esempio, abbiamo leggermente cambiato il taglio di carne, privilegiando girelli di Fassona di grande pezzatura, che lasciamo a marinare per una notte e che cuociamo poi un’altra notte intera a bassa temperatura. I capperi, che fanno parte della ricetta storica, non vengono più sciacquati in acqua, ma lasciato ammollo nell’aceto bianco come si faceva tanti anni fa. Si tratta quindi di variazioni davvero leggere, con le quali però possiamo mettere un tocco personale in ricette che hanno fatto la storia della cucina.
E i Plin di Lidia?
Considera che ancora prima di entrare da Guido da Costigliole ho cominciato a studiare a memoria le ricette e la storia di Guido e Lidia. Questa tradizione è parte integrante della tradizione gastronomica italiana ed è quindi un tesoro da preservare così come ci è stato tramandato. Poi è ovvio, le sfumature ci sono, ma penso che sia anche giusto così, altrimenti non saremmo dei creativi, ma degli esecutori.
Fatta salva la tradizione, come saranno invece i nuovi piatti?
Diciamo che ci stiamo ancora lavorando. Sicuramente, data anche la mia formazione, introdurremo una serie di contaminazioni che non andranno a snaturare la cucina tradizionale di Guido, ma, spero, la arricchiranno. Per fare un esempio, vorrei lavorare molto sulle fermentazioni e sul foraging, cioè la ricerca e l’utilizzo delle erbe selvatiche, che qui in Langa sono una grande ricchezza. E poi intendiamo continuare, e se possibile implementare ulteriormente la filosofia del Km0. Questo non significa che mancherà il pesce, ma che magari il prossimo carpaccio sarà di tinca, un pesce d’acqua dolce tipico delle zone di Ceresole d’Alba.